DSA: il punto di vista di una pedagogista (parte 1)

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“Mio figlio è lentissimo nei compiti, non so più che fare…”

“io mi impegno, ma non sono capace, faccio tantissimi errori e divento triste”

“La certificazione di DSA è stata fatta e adesso?”

“Non mi certificano il bambino, ma lui ha bisogno di aiuto!”

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Parlando con genitori, bambini e ragazzi che sono arrivati al mio studio per presentarmi le loro “problematiche scolastiche” e capire come eventualmente intervenire di fronte a disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), mi sono resa conto che ciò che più conta, ancor prima di proporre specifici interventi didattici, è stabilire una buona relazione sia con genitori sia con bambini/ragazzi.

Laura Pederzani

(Pedagogista)

Importanza del primo incontro: creare fiducia

Fondamentale è il colloquio conoscitivo con i genitori per comprendere le loro aspettative, l’immagine che loro stessi hanno del bambino/ragazzo, per meglio capire quali sono gli ambiti in cui il figlio riesce bene e quelli in cui incontra difficoltà, non si parla solo di lettura, scrittura, matematica ma anche organizzazione quotidiana, abilità sociali (non dimentichiamo mai che sono loro i veri esperti del figlio!).

Questo primo incontro, a mio giudizio, è fondamentale che avvenga “a tu per tu” nello studio e non per telefono o su Skype! Innanzitutto perché per creare un patto educativo e condividere un percorso pedagogico è opportuno guardarsi in faccia e poi perché gli aspetti non verbali della comunicazione, spesso rivelano più di quello che dicono le parole…Altrettanto importanti sono i primi incontri con il bambino/ragazzo.

Darsi del tempo per conoscersi, aprirsi, sentirsi sicuri, a mio giudizio, è ancor più importante che iniziare “a fare esercizi” (come tanti genitori auspicano). Non si tratta di perdere del tempo, quanto piuttosto di “gettare le basi” per poter poi lavorare bene.

Come pedagogista credo nelle possibilità di cambiamento dell’altro e nell’educabilità della persona. Nel caso di bambini e ragazzi con certificazione di Disturbi specifici dell’apprendimento non posso accettare che una diagnosi DSA sia fatta per dare un nome ad un disturbo e un pezzo di carta alla scuola.

Che senso ha far vedere il figlio da uno specialista ogni 5-6 mesi se nel frattempo nessuno lo supporta adeguatamente? Nessuno gli fa scoprire le sue risorse, gli fa capire che non è solo una persona “incapace a…” , ma che è soprattutto un bambino/ragazzo “abile a…”? Una diagnosi deve servire per mettere in luce i bisogni particolari dei bambini/ragazzi e le loro potenzialità sulle quali si ha l’obbligo morale di lavorare. Non esiste una diagnosi fine a se stessa se non c’è poi intervento!

Il pedagogista ha il dovere di considerare il bambino/ragazzo nella sua globalità, come persona che deve poter godere di una condizione di benessere e proprio per questo è chiamato a compiere un cambio di prospettiva, a interpretare la difficoltà/disturbo come “bisogno di” . A mio parere, la diagnosi di DSA può essere solo un punto di partenza… Forse qualcuno è giunto alla fine di questo articolo chiedendosi ma cosa sono questi DSA??? Avete ragione, nelle prossime settimane vedrò di raccontare cosa sono questi “disturbi”, sempre a patto che la dicitura “disturbi” sia la più adatta per definirli…

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articolo pubblicato su baby@bs
http://www.babyabs.it/dsa-il-punto-di-vista-di-una-pedagogista-parte-1/

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